La Città

Il nome e la storia

Il significato del nome Gerace ruota attorno a tre ipotesi. La parola deriva dal greco jerax, “sparviero”, in ricordo del rapace che – secondo la leggenda – avrebbe indicato agli abitanti di Locri il luogo in cui rifondare la città, al riparo dalle incursioni saracene. Per altri trova la sua spiegazione nell’antico nome bizantino “Aghia (Santa) Ciriaca” o in jerà akis, “vetta sacra”.

Gerace fu abitata fin dal Neolitico: nel X secolo a. C. la popolazione indigena ha lasciato testimonianze di civiltà protosorica molto interessante, specialmente intorno all’VIII Secolo a. C., quando questa civiltà si è fusa con quella dei coloni greci i quali, prima di fondare la città di Locri Epizefiri sulla marina sottostante, hanno trascorso un breve periodo di convivenza sulla collina.
Il sito continuò ad essere abitato e frequentato anche quando la polis di Locri Epizefiri raggiunse il suo massimo splendore nel V secolo a.C. ed ebbe un notevole sviluppo nel IX secolo, quando arrivarono i Locresi per sfuggire al pericolo saraceno.

Nell’anno 951 l’armata saracena, per evitare lo scontro con l’esercito bizantino, si accontentò di un tributo accordato dal popolo di Gerace. L’anno successivo, tornati all’attacco, i musulmani riportarono la vittoria sui bizantini. Gerace, però, non fu saccheggiata. Gli Arabi tornarono dopo 20 giorni decisi ad impossessarsi della rocca, ma la città venne risparmiata per il tempestivo intervento di un funzionario di Costantino, il quale pattuì una tregua con l’Emiro dietro pagamento di un forte riscatto.

Nel X secolo i due fratelli, Roberto il Guiscardo e Ruggero il Normanno, si contesero il potere con le armi e con l’astuzia.
Intorno al 1250, sotto il Regno di Federico II la città conobbe incremento edilizio, ma anche contrasti tra Chiesa e Stato. Caduti gli Angioini, Gerace venne occupata dagli Aragonesi e Ruggero di Lauria ne fece un suo feudo. Una volta che gli Angioini tornarono in Sicilia, il Duca Roberto di Calabria la dichiarò “Città Regia”.
Nello stesso periodo il monaco Barlaam II insegnò greco a Petrarca e Boccaccio.

Nella prima metà del ‘500 la Diocesi è governata da Vescovi Commendatari, tra cui il cardinale Bandinello Sauli che arricchì la Cripta della Cattedrale di marmi. Tra il 1571 ed il 1582 Tiberio Alfarano, Chierico Beneficiario di S. Pietro in Roma, veniva incaricato dalla Curia Romana a disegnare l’Antica Basilica Vaticana. La ventata innovatrice del Concilio tridentino fece ascendere al trono episcopale Tiberio Muti.
Nel 1552 Andrea Candida istituì il Seminario e dotò la Cattedrale di un pregiatissimo coro in noce scolpita con scene del Nuovo e Antico Testamento.

Nel Seicento arrivarono i Caracciolo, Consalvo d’Aragona (futuro Vicerè di Napoli) e i genovesi Grimaldi. Donna Maria Teresa Grimaldi diventava Principessa di Gerace, Duchessa di Terranova, Marchesa di Gioia, Signora della Città e Stato di Montesantangiolo. Dopo la morte della Principessa di Gerace, i francesi elevarono la Città a capoluogo di distretto e i Borboni la tennero per “Città Fedelissima”.

La politica di Carlo III di Borbone, fortemente tesa a contrastare il potere temporale della Chiesa e dei feudatari attraverso una serie di riforme a favore delle classi disagiate, venne soffocata dalla forte opposizione dei latifondisti e del cambiamento di governo a seguito della sua ascesa al Trono di Spagna.

Dal 1730 al 1748 dominerà la figura del Prelato campano Ildefonso Del Tufo. Egli diede impulso alla formazione culturale del clero; spese una somma ingente per ristrutturare la Cattedrale e acquistare quello che oggi costituisce gran parte del suo tesoro. A causa di contrasti interni fu costretto a rinunciare alla Cattedra vescovile e ritirarsi in convento.

La Cattedrale, che aveva rischiato grosse trasformazioni dopo il terremoto del 1783, veniva ristrutturata nel 1829 dal vescovo Giuseppe M. Pellicano.

Nel settembre 1847 scoppiò un’insurrezione mazziniana alla quale seguì una condanna alla pena capitale del Tribunale borbonico nei confronti di cinque giovani, conosciuti come i “Cinque Martiri di Gerace”. Michele Bello, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori, Rocco Verduci e Pietro Mazzoni, che verranno fucilati il 2 ottobre 1847 nella Piana di Gerace. Ad avvenuta Unità d’Italia, il governo piemontese non farà altro che aggiungere tasse; annichilire ogni forma embrionale di industria e commercio; costringere le popolazioni ad emigrare ed applicare modelli di vita estranei alla cultura del Sud.

Il periodo ottocentesco è caratterizzato da un fiorire di costruzioni sacre dovute a lasciti o iniziative laicali che caratterizzeranno l’organizzazione territoriale e il rapporto uomo-contesto urbano

La Città acquista importanza già dal Cinquecento per la produzione di seta, ma soprattutto per il valore strategico-militare.

Durante l’ultimo conflitto mondiale fu risparmiata dallo scoppio di una micidiale polveriera che avrebbe portato conseguenze catastrofiche. Il 5 settembre 1943 dopo avere fatto saltare un primo deposito al Calvario, alle ore 17 il comando italiano dava ordine di far brillare una seconda polveriera contenente proiettili di grosso calibro. Per ben due volte la miccia ripetutamente si spense. Al terzo ordine un capitano di artiglieria, incurante degli ordini ricevuti, si buttò sul cordoncino bloccando la combustione. I geracesi, attribuendo l’episodio ad un intervento divino, nel 1947 donavano in segno di gratitudine alla statua dell’Immacolata, una corona d’oro impreziosita da due splendidi brillanti regalati da Papa Pio XII.

Nel 1954 il vescovo M. Perantoni, fra non pochi tumulti, realizza il progetto di alcuni suoi predecessori di trasferire la sede vescovile a Locri.
La città collinare anche se depredata di quest’ultimo baluardo storico, sofferente per lo spoglio sistematico infertole dagli uomini non perde, però, la sua importanza culturale.

L’assetto urbanistico è di stampo medievale ed è diviso in tre nuclei principali: la Città Alta, il Borgo Maggiore e il Borghetto. Fuori dal centro della Città c’è un’ampia estensione di campagne, parte del territorio geracese.